Fare coming out per affermare la propria identità sessuale ed emotiva

A prescindere dal destinatario, il coming out è un momento importante, non ne esiste uno per eccellenza, ne esiste uno.


Il coming out, letteralmente uscire allo scoperto, è il momento in cui una persona omosessuale decide di dichiarare la propria identità di genere a tutte le persone che appartengono alla cerchia dei suoi rapporti interpersonali.

L’11 ottobre del 1988 negli Stati Uniti è stata istituita la giornata mondiale del coming out da parte di uno psicologo, Robert Eichberg e un attivista per i diritti, Jean O’Leary. Essi hanno voluto sensibilizzare le persone alla pluralità di genere.

Che cos’è il coming out?

Il coming out secondo il vocabolario Treccani  è la “dichiarazione pubblica della propria omosessualità”.

Questa è la spiegazione giustamente asettica che può dare un dizionario, ma in realtà il coming out è un termine che racchiude delle problematicità ben più complesse.

Rappresenta il momento di svolta per un omosessuale che, per una parte della sua vita, ha nascosto la propria identità e che, dopo un percorso personale denso di difficoltà e sofferenze, arriva a dichiararsi uscendo allo scoperto.

In Italia il coming out si confonde spesso con l’outing che consiste nel rivelare l’omossessualità di una persona senza che sia d’accordo. Questo tipo di comportamento crea un forte disagio emotivo in una persona che non era pronta a rivelarsi.

Esistono delle regole da seguire?

Nel tentativo di agevolare chi è in procinto di compiere il coming out, la rete è piena di video e suggerimenti  su come affrontare questo passo importante. Alcuni offrono i “sette consigli per un perfetto coming out”, altri invece propongono i “venti passi necessari da compiere per ottenere un efficace coming out”.  Ad osservare bene questo tipo di fenomeno sembra che il coming out sia divenuto un gesto codificato da regole precise atte a renderlo efficace. Ma non è così. L’intento di tali suggerimenti potrebbe essere quello di alleviare la difficoltà o la sofferenza che precede il momento della dichiarazione. Ci sembra opportuno rilevare quanto sia impossibile evitare queste fatiche per coloro che avessero deciso di uscire allo scoperto. Non esiste un decalogo del buon coming out, piuttosto sarebbe più opportuno condividere esperienze personali da cui trarre ispirazione per trovare l’energia necessaria a compiere questo passo.

Quello rivolto ai genitori è il coming out per eccellenza?

Quando un omosessuale decide di dichiarare pubblicamente la sua identità si ritrova già in grande difficoltà emotiva, quando poi decide di affrontare l’argomento con i suoi genitori la difficoltà sembrano  aumentare.  Il figlio/a è spaventato dalla possibile reazione dei genitori perché ritiene di poter deludere le loro aspettative o di ricevere un rifiuto. Affrontare a viso aperto un genitore è un passo importante che segna la fine dell’adolescenza e l’ingresso nell’età adulta.

Fare coming out è come dover affermare la propria identità, non solo sessuale ma anche emotiva. Sul web molte sono le esperienze condivise, nel mondo LGTB, sul coming out rivolto ai genitori. Anche in questo caso vengono descritte moltissime esperienze con l’intento di aiutare le persone in difficoltà. Lo scopo di leggere esperienze di altre persone serve a placare l’ansia che si prova prima del fatidico giorno. È come se si volesse arrivare molto preparati per cercare di ridurre le emozioni negative.

Ad ogni modo, prescindere dal destinatario, il coming out è un momento importante, non ne esiste uno per eccellenza, ne esiste uno.

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