Perché è facile credere all’impossibile. Il fenomeno delle fake news

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“È più facile credere all’impossibile che all’improbabile”. Così diceva il grande scrittore Oscar Wilde. A distanza di oltre un secolo questo aforisma risulta più che mai profetico – soprattutto se parliamo di fake news.


Sull’onda di un’evoluzione tecnologica dilagante, siamo quotidianamente invasi da notizie, non più solo tramite i canali ufficiali, ma tramite tutto il mondo social. In un mondo dove la possibilità di informarsi è ricca di alternative, è allo stesso tempo facile incorrere in ciò che vengono chiamate fake news.

Fake News: cosa sono

Per fake news, ovvero ‘notizie false’, si intendono tutte quelle informazioni prive di veridicità, senza alcun fondamento empirico che, nonostante ciò (si potrebbe dire proprio per questo), vengono percepite come vere e condivise soprattutto sulle piattaforme social in tutto il mondo. Il fenomeno è ormai diffuso nel nostro Paese, a tal punto che le dinamiche vincenti delle fake news possono essere riprese anche in titoli di giornale, in “strilli” che attirano l’attenzione del lettore senza poi di fatto avere attinenza con il contenuto dell’articolo.

Non avete idee di quante mamme siano tratte in inganno da fake news su fantastiche cure o rimedi magici per sé stesse e per i loro figli.

Siamo davvero così vulnerabili rispetto alle false notizie?

Potenzialmente sì e alla base ci sono dei meccanismi psicologici ben noti soprattutto nell’ambito dello studio del comportamento umano.

La mente dell’uomo funziona anche secondo una logica “economica”. Le credenze che abbiamo influenzano ciò che percepiamo e talvolta le nuove informazioni vengono proprio gestite attraverso queste “scorciatoie cognitive”. Queste scorciatoie sono dette ‘euristiche’ e risultano funzionali all’uomo in quanto rappresentano un pensiero e una capacità decisionale rapidi.

Al contempo vi sono anche alcune scorciatoie cognitive basate sul pregiudizio e che pertanto risultano inefficaci. Questa distorsione rapida dell’informazione si chiama in letteratura psicologica bias.

Bias cognitivi e pensiero veloce

Daniel Kahneman, psicologo israeliano della Behavioral Economics, definì la modalità di ragionamento euristico ‘pensiero veloce‘. Il pensiero veloce ci consente di decidere rapidamente e pertanto può avere una valenza protettiva. Ma ciò che viene definito pensiero veloce procede di pari passo con un pensiero lento, più riflessivo, incaricato ad analizzare e confutare le informazioni. Non può esistere solo un tipo di pensiero.

Se dovessimo ragionare in ottica comportamentista, dunque, le fake news risultano essere efficaci nel pensiero veloce, quello superficiale, deputate ad alimentare proprio i bias cognitivi.

Le scorciatoie mentali non sempre, quindi, sono dannose, se pensiamo alle euristiche precedentemente citate, largamente studiate soprattutto per l’analisi del comportamento umano e per lo studio della psicologia sociale. Diventano dannose quando alimentano un pregiudizio e quando non vengono confutate da un pensiero più riflessivo.

In questo modo le fake news è come se attivassero e confermassero già dei pregiudizi che noi abbiamo più o meno consapevolmente. Ci accontentiamo così di ciò che serve a confermare un pensiero già presente nella nostra mente, come se le informazioni venissero filtrate in un imbuto. In un certo senso questa modalità di ragionare disfunzionale rappresenta l’antitesi di un ragionamento empirico.

Allenare il pensiero critico

Per non essere vittime delle fake news occorre quindi essere maggiormente consapevoli di ciò che si legge, allenare fin da bambini ciò che viene chiamato ‘pensiero critico‘.

La tecnologia è una risorsa ma se non adoperata consapevolmente rischia di lasciarci fermi in convinzioni superficiali. Come sempre il problema non è, e non sarà, lo strumento, ma l’uso che se ne fa.

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